mercoledì 17 febbraio 2016

La lettera "n"



Sono molto duro con le donne, è vero lo ammetto. Ma è un mondo che con curiosità e umiltà sto ri-scoprendo e questo, probabilmente, contribuisce a esaltare la mia acredine. La verità è che un mondo che trovo profondamente affascinante e ne rimango, a volte, talmente abbacinato la cui ispirazione mi fa spesso passare per un gay. 

Ma proprio la sensazione dell’infinito potenziale mi porta a poi a calare la cavalleria pesante nei giudizi. Donne che vogliono prove di amore nel chiedere cose: cene, vestiti, auto, matrimonio e figli. Ma proprio io, la cui parte migliore che posso offrire è l’unicità di me stesso, devo abbassarmi a pagare una cena in un ristorante con un menù, comprare vestiti che anche altre donne vestiranno, regalare auto che viene prodotta in migliaia di esemplari, organizzare un matrimonio con altri 120 invitati o fare un figlio, semplicemente, perché sperate che venga fuori un nuovo “lui”, ma educabile a immagine e somiglianza. 

Ripartiamo dall’unicità. 

Ma non dalla mia: io sono in un’orbita interstellare intorno a Plutone e chissà quando tornerò. Ripartite dalla vostra. Ripartite dalla curiosità, che è donna. Dalla curiosità di scoprirvi e ri-scoprirvi. Ripartite dai particolari, non dagli abbinamenti scarpe-borsa, ma dalle cose insignificanti cui solo voi sapete dare valore: ripartite dalla lettera “n”, che fa divenire la sessualità sensualità. Lasciate la sessualità che, in fondo pensateci, tra tacchi a spillo/scollature/parrucchiere ha solo un carattere di funzionalità. 

Riempitevi di sensuale – ovvero di ciò che è relativo ai sensi, alle sensazioni fisiche, che procede dai sensi e verso il piacere dei sensi – di senso – ovvero della facoltà di ricevere impressioni da stimoli esterni o interni – e di sensibilità – ovvero di conoscere per mezzo dei sensi e di provare il piacere o il dolore accompagnanti le sensazioni. Lasciate le cose e la funzionalità e tornate, vi prego!, nell’emozionalità. 

Nell’emozione di mettersi i capelli dietro l’orecchio quando parlate, di mordervi il labbro quando siete in imbarazzo, nel chiedere al 75 esimo minuti di una partita di calcio “Ma quali sono le squadre?”, nella goffaggine di bruciare la cena ma di apparecchiare la tavola a lume di candela, nel dubbio amletico di cosa mettervi, nel levarvi i tacchi a metà serata perché vi fanno male i piedi, nel graffio delle unghie nel momento di piacere per rimanere attaccate a questo mondo mentre l’emozione vi porta via. Ripartite dalle labbra rosse nella collera e nelle ebbrezze penitenti, dal rosso della passione, dall’amore nelle viscere della pelle. 

E così, quando siete a cena con un uomo capite che lettera è se è una “n” o una “s”: siate sincere con voi stesse e quando sentite odore di “s”tronzo tagliate corto, subito.

giovedì 11 febbraio 2016

Produzione Paranoica

Aprite il link, alzate il volume del device, mettete le cuffiette, spingete play e leggete con calma. Mi raccomando i 44 secondi.


Faccio l’ultimo punto con i ragazzi, condividiamo le impressioni, pianifichiamo i prossimi passi. Giornata piena di riunioni, sono andato a mille. ringrazio tutti, riallungo le maniche della camicia, sistemo i gemelli. Metto la giacca, sistemo la cravatta. Chiudo la borsa. Sono le 21, sono in ufficio da 12 ore. Sospiro profondamente, la tensione mi provoca un respiro apneico. Metto il cappotto e, zaino in spalla, mi avvio all’ascensore.
Mi specchio, mi osservo, penso e mi dico “dai, non sei così male!”. Sono stanco, mi sento insofferente e sono insofferente verso il mondo. Vorrei bruciarlo e distruggere tutti gli stolti che mi circondano.
L’ascensore arriva al piano e si aprono le porte.

[ 44 secondi ]

Da quel preciso istante e per tutto il tempo intercorrente i 10 passi che mi separano all’uscita, in un cortile interno, sento risalire il brivido della vita che permea ogni pigmento della mia tesa pelle.



Pochi metri in cui tutta la mia aggressività diventa il moto creativo della mia fantasia

La mia bocca sorride quasi a volersi allinearsi al freddo vento che tagli il mio viso barbuto.

Socchiudo gli occhi per un attimo per immaginare meglio 

Il mio corpo si emoziona

Posso violare qualsiasi mondo rotante in una remota galassia all’interno del nostro infinito universo

Lo stomaco diventa frizzante 

Ogni passo incalza quello successivo 

Un simposio di vivide immagini, colori vivaci, un viaggio interstellare sempre più veloce. Stupefacente

Sento di voler iniziare a correre

Come coloro che non cessano di camminare – i pellegrini russi e i beduini nomadi, continuamente sospinti col loro bastone di ulivo


Continuate pure da soli… il resto è indescrivibile

lunedì 8 febbraio 2016

Il ciuchino di Roma che dipingeva Michelangelo

Ero fuori Roma questo weekend. Discutendo sulla scelta di un regalo, riflettendo su come sia tanto importante scegliere secondo i gusti “dell’altro” ma come sia imprescindibile farlo secondo i propri occhi. Un buon regalo è sempre una scelta che contempera diverse esigenze: è il pensiero che conta. Nel mentre la commessa interrompe dicendo: ”sei di Roma?” e io: ”si” e lei, con un sorriso compiaciuto della propria intelligenza: ”si sente dall’accento!” e io: ”certo signora, è un accento che parlano tra i 5 e i 10 milioni di persone soltanto in Italia”.

Giustamente sei della bambagia e interrompi una discussione sull’approccio metodologico alla scelta di un regalo per farmi notare il tuo punto di vista sull’unica ovvietà che capisci: il riconoscimento dell’accento romano in Italia. Riadatto, impropriamente, un detto “Signora, quando voi vivevate ancora sugli alberi e vi dipingevate la faccia, noi eravamo già froci” (fonte: Giornale.it).

Allo stesso modo, nei giorni scorsi, l’ennesimo ciuchino non ha potuto esimersi dal saltellare gridando “scegli me, scegli me! La so, la so!” per farmi notare la mia, presunta, imprecisione su Michelangelo. La sua voglia di far vedere la sua conoscenza sul (mono)tema, non le ha fatto cogliere il fatto che io non mi riferissi tanto al personaggio storico quanto alla persona, al fatto che il talento – quello vero – non scende mai a compromessi: il fatto di essere pagato, anche lautamente, è semplicemente un retribuzione materiale – pagare il tempo/lavoro/esperienza - ma poi la creazione di un’opera d’arte è un processo ingovernabile. Insomma, Michelangelo si è preso la briga di dipingere la Cappella Sistina nonostante fosse uno scultore affermato e ha realizzato un’opera discussa che gli è costata molto fisicamente.

Se Gigi D’Alessio, o Alex Britti, sono tecnicamente degli ottimi musicisti ma preferiscono fare canzonette per vendere album, quello non è talento: è business. Ci sono centinaia di grandi artisti che non sono scesi a compromessi con l’arte ma hanno comunque venduto milioni di copie per decenni interi.

Insomma il talento non si sceglie, il talento ci sceglie e alla fine ci possiede.

Ma il punto qual è Pierfra? Il punto è che mi trovo spesso a discutere con persone che spostano il tavolo del ragionamento al “cosa”, ovvero sul piano delle cose che sappiamo: sia esso un accento romano o l’esempio su Michelangelo. Essere esperti di Michelangelo, di scultura o di pittura non ci garantisce in automatico la piena comprensione dell’arte verso cui, a dirla alla Carotenuto, la psicologia è in debito.

Sono stato invitato a tacere e passare oltre: giusto. Infatti, una volta un amico mi ha detto: ”Pierfra non ragionam di loro ma guarda e passa”. Che situazione infernale.

Non ho risposto e non volevo scrivere queste parole: non mi andava, come può uno stronzo sconfiggere un’artista? Ma poi mi sono venute in mente le parole di (San)Paolo che mi ha detto: “l’idiozia degli stolti sta dominando per colpa di quei pochi intelligenti che non si fermano pochi secondi ad un confronto”.

Fondamentalmente non sono esperto di niente, quel poco che credo di sapere è frutto della mia fantasiosa immaginazione.

giovedì 4 febbraio 2016

Adozioni Gay



La globalizzazione ha dato a tutti la possibilità di condividere informazioni e accedere alla cultura, i social hanno permesso a tutti di comunicare. Vi prego entrate nella porta della cultura è aperta, perché mi trovo a vivere in un mondo dove ognuno si sente in diritto di esprimere il proprio punto di vista senza aver riflettuto su informazioni liberamente disponibili.


Ora partiamo da un presupposto: si adotta un bambino orfano. Se è orfano è perché, nella stragrande maggioranza dei casi, i genitori lo hanno abbandonato. Significa che 2 eterosessuali si sono accoppiati, hanno generato vita, e hanno rifiutato la vita. Quindi un bambino nasce con un padre e una madre che non gli vogliono dare affetto. Le motivazioni possono essere diverse:


· Economiche. Non avevano lavoro e soldi per mantenerlo.


· Maturità. Era molto giovani e non erano pronti.


· Relazionali. Non si amavano e il figlio ha rotto un precario equilibrio.


· Superficiali. Hanno scopato in discoteca ed hanno fatto il danno.


· Culturali. Le loro famiglie non avrebbero accettato un figlio “fatto così”


Quindi 2 persone di sesso, che possono procreare accoppiandosi, procreano e rifiutano di creare una famiglia.


Sto bambino è solo.


Poi ci sono altre coppie di etero – tipologia 1 – che, per cause di forza maggiore, non possono avere figli. Si amano ma la natura ha detto no, nemmeno fosse l’uomo Del Monte. Loro appartengono alla “classe” di coloro che possono avere figli ma la natura ha negato loro la possibilità di avere figli. Hanno peni e vagine ma non hanno la vita dentro, nonostante si amino. Curioso no?


Poi ci sono coppie di omosessuali – tipologia 2 – che, tecnicamente e singolarmente potrebbero avere figli, ma non posso avere figli. Si amano ma la natura li ha dotati di un amore sterile: hanno uteri e scroti con la vita dentro ma non possono riprodursi, nonostante si amino. Curioso no?


Sto bambino è sempre solo. A chi lo facciamo adottare?


Solo agli etero, perché per i gay è contro natura: è no! La natura ha negato a entrambi di avere figli. 


Entrambe le tipologie possono avere soldi per mantenere il figlio, se ne facciamo una mera questione di sostentamento. La casa diventa un albergo.


Entrambe le coppie possono essere mature per accoglierle o, per assurdo, la coppia gay può essere più vecchia di quella etero


La questione relazionale è facilmente superabile: tutti e 4 si possono amare a coppie. Non volete mica fare dell’amore una questione di omofobia.


Non è un problema di cultura, perché paradossalmente le famiglie dei gay sono più pronte ad accettare un cambiamento, una diversità. Ricordo che i gay sono sempre figli di etero, ed adesso accettano non solo l’amore omosessuale ma anche quello eterosessuale (il figlio adottivo).


Allora dov’è il punto? È una questione di omofobia, immagino. Abbiamo paura che i figli adottivi dei gay diventino gay, perché educati forzatamente dai genitori, e venga minato l’equilibrio sociale nonché il futuro della razza umana. Quest’ultimo punto potrebbe essere un’opportunità di selezione naturale visto che ormai siamo duri a morire e viviamo fino a 100 anni. Sul primo punto, mi faccio una domanda: allora la nostra società non è così stabile da accettare la diversità? Abbiamo il terrore che la mafia gay ci conquisti perché - tra divorzi, tradimenti, coppie di fatto e unioni civili - abbiamo devastato il concetto di famiglia tradizionale. Ora i gay assurgono a famiglia tradizionale del futuro. Che flash!


Non ne possiamo fare una questione né di morale né di natura. Men che meno una questione religiosa: perché se non siamo cattolici ortodossi, si aprono squarci inenarrabili sul concetto di peccato.


Allora è un problema sociale: l’omosessualità è una malattia e va curata. Ci sta, ma non possiamo lobotomizzare milioni di omosessuali che si sentono normali. Dobbiamo curare le famiglie tradizionali nel curare meglio i propri figli: allora investiamo denaro, sull’istruzione, sull’educazione, sui preservativi e sulla cultura per evitare che vengano al mondo figli soli. Che poi soli rimangono per tutta la vita. 


Un po’ come fa ha fatto l’Olanda per la liberalizzazione delle droghe leggere: hanno studiato, raccolto dati, comparato modelli, considerato gli effetti, assunto responsabilità per errori e poi hanno deciso.


Non so se l’omosessualità sia una malattia, nell’attesa che qualcuno lo approfondisca, ma penso che non si possa demonizzare l’amore. Penso che sia immorale chi abbandona una vita, non chi decida di accoglierla. Di qualunque sesso sia.





domenica 24 gennaio 2016

Lux Fero

Noto sempre più persone attratte da questo mio essere “strano”, dal percepire un “quid” (cito). Il piacere nel seguirmi a distanza ravvicinata. Osservare nel quotidiano l’animale selvatico allo stato brado. Accompagnarsi con una tigre al guinzaglio. L’ammaestramento di un animale da circo. Un perverso gusto dell’esotico (non esoterico).
Ma poi percepisco una paura tremenda quando mi giro a porgere la mano, come quando Lucifero si propone nel tentativo di accompagnare con la sua luce l’oscuro sentiero verso il Paradiso.
Dal rifiuto segue il disagio e si genera la nevrosi. Dall’incomprensione nasce la giustificazione per ricreare ordine. Così Lucifero si illude di essere un tentatore per aver cercato di far deviare dalla naturalità. Senso di colpa e quindi il peccato.
Il Diavolo è semplicemente il figlio dell’incomprensione.
Uscire dagli schemi è rischioso. L’anticonformismo è costoso. Non si tratta di fare gli alternativi (con lo slang di Verdone) ma di vivere in modo diverso. Divergere dall’ordinario, dall’aspettativa.
Si tratta di passare dalla Fisica di Newton, dalla certezza che la mela non cada mai troppo lontano dall’albero, alla meccanica quantistica di Heisenberg: non è possibile misurare contemporaneamente e con estrema esattezza le proprietà che definiscono lo stato di una particella elementare. Se ad esempio potessimo determinare con precisione assoluta la posizione, ci troveremmo ad avere massima incertezza sulla sua velocità. Insomma non possiamo sapere contemporaneamente dove siamo e come ci stiamo muovendo. La realtà dipende dall’osservatore.
Passare dall’affetto all’amore. Dalla stabilità dell’avere all’indeterminazione dell’essere. Dalla vita alla morte, per risorgere.

Dio non ci ha abbandonato, ci ha mandato un angelo ad illuminarci la scala verso il paradiso.


sabato 23 gennaio 2016

Lo tsunami dal punto di vista dell'onda

Alla fine l’onda si sta muovendo.
Forse per rabbia: lo spostamento improvviso della crosta terrestre costringe l’acqua a spostarsi, a perdere la quiete. Per cui l’acqua monta un’onda per manifestare il proprio disappunto.
Forse per paura:  lo spostamento improvviso della crosta terrestre spaventa l’acqua, che quindi scappa dall’epicentro per ritrovare il suo posto tranquillo.
Forse per adattamento: lo spostamento della crosta terrestre, spinge l’acqua ad adattarsi per sopravvivere.
L’onda si sta semplicemente muovendo, non sa di travolgere. È l’uomo, dal suo punto di vista, che viene travolto. Che crea e percepisce la vena distruttrice dell’onda. L’onda potrebbe rispondere: ”è colpa della Terra!” Paradossale vero?
Ma l’onda non è altro che il movimento dell’acqua. Movimento che deriva da un’emozione: rabbia, paura o adattamento. L’acqua non vuole distruggere, l’acqua sta vivendo.
Magari l’acqua non sta guardando cosa succede davanti a sé, cosa sta travolgendo. Forse tutte quelle molecole di acqua, che compongono l’onda, sono girate all’indietro a scrutare rabbiosamente l’epicentro da cui sono costrette a muoversi. Oppure hanno gli occhi chiusi, ancora impaurite dalla scossa ricevuta e corrono via per paura di altri colpi che ne metterebbero a serio rischio l’esistenza. Infine potrebbero essere girate le une verso le altre, in un acceso simposio finalizzato a interpretare l’accaduto e a capire le possibili azioni da intraprendere per ritrovare la quiete.

A pensarci bene la terra si è mossa e l’onda è acqua in movimento. Lo tsunami non esiste: è solo il punto di vista dell’uomo. O della donna.


mercoledì 20 gennaio 2016

La classifica

Last but not least. Mi hai letto nel pensiero, ma nel tuo caso forse è facile. ;)
Vorrei commentarlo con velata ironia, per non asfaltare 34 milioni di Italia alle 19.48 di un freddoloso mercoledì sera di gennaio
La classifica, io c'ho sofferto ora che ci ripenso. Tutti sti amici, amiche, parenti, ragazze che hanno certezze: film preferito, canzone preferita, marca di auto preferita, profumo preferito, piatto preferito, ristorante preferito. Cazzo, na vita preferita! A me quando mi chiedevano: “Qual è il tuo film preferito?" mi metti in difficoltà, non lo so. “Dai! Non hai un film preferito?” No, le mie preferenze sono fluide. Per 32 anni ho pensato di essere strano, e mi sono forzato di trovare dei punti fissi cui girare intorno. Non fa per me, non ho certezze.
Ti posso dire il film che preferisco adesso, ovvero che guardo più spesso: la trilogia del Il cavaliere oscuro (The Dark Knight), ma prima guardavo The Walking Dead. Vedi, ora che mi ci fai pensare, nemmeno "preferisco" un film ma sembra almeno una serie composta da 3 episodi! Allora la domanda è:"Quale episodio?" Non lo so! Dipende, cazzo.Ti giuro Paolo, c'ho provato: mi sono fatto la playlist su Spotify, 62 canzoni. Completamente diverse da quelle dell'anno scorso. Certo ti posso dire che TRA gli autori (come concetto ampio) ascolto i Pink Floyd e i Led Zeppelin. Ma adesso ascolto 24/24 “The sound of silence” di Simon and Garfunkel.
Lo confesso ho sempre avuto paura per le persone che hanno il “preferito”: quella che ti sei scopato a 17 anni (non so chi sia!) era la tua preferita ALL’EPOCA, mentre ora, credo e auspico, che la tua preferenza sia cambiata.
Non ce l’ho fatta, ho acceso sirena e betoniera. Ultimamente odio le citazioni, le trovo profondamente vuote di cognizione, ma ti voglio salutare con Galimberti. Tanto lo sapevi che sarei andato a finire là:
Ho paura di rimanere un eterno incompiuto ma non posso negare la mia naturale tensione verso un qualcosa. Forse perché i miei de-sidera rimandano, appunto alle stelle: “l'esperienza umana è per natura mutevole e ciascuno di noi va incontro a un cambiamento continuo, allora diciamo che la sicurezza è una nostra fantasia che cerchiamo di realizzare immobilizzando l'altro in un nostro schema, mentre l'avventura, che promuove il desiderio, è la realtà. Ma il timore che l'avventura ci destabilizzi non la ospitiamo in casa, al massimo le concediamo fuori casa il tempo di una notte".



Stasera almeno troverò la strada libera